lunedì 10 luglio 2017

IL SANTO E IL LUPO (2)

riporto qui in versione aggiornata, rispetto a quanto scritto in questo blog lo scorso anno, l'articolo sul misterioso affresco di Farra di Soligo e pubblicato sul numero de L'Azione del 2 luglio 2017.




IL SANTO E IL LUPO
Un'ipotesi di interpretazione dell'affresco dell Madonna dei Broi di Farra di Soligo.
di Cinzia Tardivel




I restauri della chiesetta della Madonna dei Broi a Farra di Soligo (TV), ultimati nel 2014, hanno riportato alla luce degli affreschi straordinari, databili all'inizio del quattordicesimo secolo. Sicuramente quella che maggiormente ha attirato l'attenzione, per la sua particolarità, è l'immagine di un santo che tiene in mano una corda (un guinzaglio?) e accanto a lui un lupo che sembra essere stato appena ammansito.
La presenza del lupo ha fatto subito pensare al più celebre racconto agiografico in cui compare questo tipo di animale: ovvero l'episodio che vede protagonista S. Francesco d'Assisi, che ammansisce il lupo di Gubbio.
Tale leggenda però non fa riferimento all'uso di corde o guinzagli, bensì al fatto che l'animale avrebbe posto la sua zampa sulla mano del santo, così come viene rappresentato nell'affresco della chiesa di S.Francesco a Pienza (opera dei senesi Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, della seconda metà del Trecento). Il racconto del lupo di Gubbio, è narrato negli “Actus beati Francisci et sociorum eius”, tra il 1327 e il 1340 ( di cui i celebri “Fioretti” sono una successiva traduzione in lingua volgare).
Ma ciò che suscita più dubbi, sull'interpretazione francescana dell'affresco di Farra, è l'abbigliamento del santo, la cui iconografia ha, fin dagli albori del suo culto, caratteri comuni e precisi nelle sue rappresentazioni: in primis il tipico saio, che più di tutto caratterizza il Poverello di Assisi. Invece, in Santa Maria dei Broi, il santo indossa una tunica rosata, una sopratunica azzurra e un copricapo a cupola anch'esso azzurro: un abbigliamento che sembrerebbe essere più vicino a quello di un abate benedettino, a mio avviso.
Un altro particolare importante, che rende difficile un'identificazione del santo di Farra con S. Francesco, è dato l'aspetto stesso della figura rappresentata: un uomo con il viso rugoso (lo si nota anche se vi 'è una lacuna pittorica su gran parte del volto) e i capelli grigio/bianchi, diversa da quella di un San Francesco, al quale dovrebbe corrispondere l'immagine di un uomo ben più giovane.
Non essendoci, ad oggi, una testimonianza documentaria che ci aiuti a svelare l'enigma sull'identità del personaggio e sull'episodio rappresentato nell'affresco della Madonna dei Broi, si possono avanzare ipotesi solo tramite un confronto iconografico e, sulla base di questo, ritengo che una figura che si avvicina molto a quella di Farra di Soligo, sia quella di di S.Amico di Rambona.
Nato a Monte Milone (oggi Pollenza, in provincia di Macerata) prima dell'anno mille, e figlio del signore del castello, Amico viene chiamato così in onore di un condottiero di Carlo Magno, venerato come martire a Mortara. Amico entrerà nell'ordine benedettino presso il convento di Rambona, fondato alla fine del secolo IX, dall'imperatrice Ageltrude di Benevento, sulle rovine di un tempio pagano dedicato alla Dea Bona. Divenuto abate del convento, Amico è ricordato per la sua dedizione profonda al lavoro (infatti viene a volte rappresentato con attrezzi agricoli), alla preghiera e alla carità, e gli vengono attribuite anche doti di intercessione per i malati di ernia. Ma la tradizione parla anche del miracolo attribuito all'abate marchigiano, ovvero l'aver ammansito un lupo: la bestia avrebbe infatti sbranato l'asinello, con cui il santo stava trasportando della legna, e Amico avrebbe così convinto l'animale feroce a trasportare lui stesso il legname fino al convento. Un racconto, quindi, molto simile, ma precedente, a quello del santo di Assisi.
La figura dell'abate di Rambona, viene spesso confusa con quella del suo omonimo, S.Amico di Avellana: anche quest'ultimo monaco benedettino, a cui è stato ugualmente attribuito l'episodio dell'ammansimento del lupo e del successivo trasporto della legna, proprio a causa di questa sovrapposizione delle figure dei due santi omonimi.
Notizie su Sant'Amico di Rambona ci sono pervenute anche tramite il "Liber Gratissimus" di S. Pier Damiani, del 1052.
S.Amico è praticamente sconosciuto nelle nostre zone, ma il suo culto è molto diffuso non solo nelle Marche, ma anche in Umbria, in Abruzzo e in Lazio, ed è invocato, proprio per via della leggenda che lo riguarda, anche per la protezione del bestiame contro l'attacco dei lupi. Ci sono quindi moltissime rappresentazioni pittoriche, specialmente nelle piccole chiese di campagna, che vedono Amico assieme al lupo, tenuto al guinzaglio.
Ovviamente il santo col lupo è rappresentato, in quel che resta di originale della chiesa ( parte del presbiterio e la cripta) dell'abbazia di Rambona (dove sono anche conservate e venerate le spoglie di Amico). Qui il santo è presente in due affreschi distinti: il primo si trova nel presbiterio, e vede Amico con un'ascia sulla spalla, per tagliare la legna, e con al guinzaglio un lupo di piccole dimensioni, mentre il secondo, dipinto nel XVI secolo, si trova nella cripta, e rappresenta invece il santo con il lupo e la consueta corda nella mano (come nell'affresco di Farra, non è chiaro se stia liberando l'animale o debba ancora legarlo al 'guinzaglio').
Nella chiesa di S. Silvestro a Tivoli vi è un affresco, del 1380 circa, che rappresenta il santo marchigiano che tiene al guinzaglio un lupo, sottodimensionato come anche in altre raffigurazioni, e in abiti cistercensi (particolare anacronistico, poiché l'abbazia di Rambona diverrà cistercense solo dopo la morte di Amico, ma che è divenuto una costante in tutte le sue rappresentazioni). In questo affresco il santo marchigiano indossa anche un copricapo, come il santo di Farra, seppur di forma un po' diversa.
Un'altra raffigurazione del santo (a volte rappresentato più giovane, a volte più anziano), si trova nel Santuario dell'Icona Passatora ad Amatrice, raffigurato in un affresco del 1494 (santuario in cui, tra l'altro, è presente anche un Cristo della Domenica, iconografia rara, di cui l'esemplare più significativo è a San Pietro di Feletto, a pochi chilometri da Farra di Soligo).
Ancora troviamo S.Amico a Santa Maria Infraportas a Foligno e, sempre nel folignate, nel Santuario della Madonna delle Grazie di Rasiglia, dove S.Amico è curiosamente rappresentato “sdoppiato” ai lati della Vergine col Bambino.
S.Amico è presente anche nella Pieve di Sietina, nel casentino (affresco datato 1495), di cui purtroppo resta solo un frammento, ma assai significativo.
A onor di cronaca ci sarebbe da segnalare almeno un altro santo, sempre marchigiano, legato ad una leggenda di ammansimento di un lupo: ovvero il Beato Ugo, monaco Silvestrino, proclamato santo solo nel 1750, ma venerato fin dal XIII secolo dagli abitanti di Montegranaro, in provincia di Fermo, dove pare il monaco risiedette: in quella località, vi è anche il cosiddetto criptoportico di S.Ugo: (l'edificio, facente parte del complesso di un monastero risalente al IX secolo, era inizialmente intitolato ai S.S Filippo e Giacomo, e solo successivamente fu dedicato al santo monaco, venendo inglobato in una chiesa più grande e diventandone una sorta di cripta). L'episodio però, che narra di come egli avesse ammansito un lupo che terrorizzava Montegranaro, è più simile a quello che vede protagonista S. Francesco, in cui il santo fa amicizia con la bestia, che porge la sua zampa. Ciò dimostra però come il Poverello d'Assisi non sia l'unico a cui sia associato un miracolo legato ad un lupo, e quanto questi animali fossero temuti, non solo per via del bestiame, ma anche perché visti, nel mondo medievale, quasi come una incarnazione del male, al quale solo uomini veramente pii potevano opporsi.
Se il santo rappresentato a Farra fosse Sant'Amico, ci sarebbe però da chiedersi come sia giunto fino al trevigiano, il culto di un santo conosciuto soprattutto nel centro Italia: egli fu oltretutto considerato santo fin dalla sua morte, per devozione popolare, ma fu ufficialmente canonizzato da Urbano VIII solo nel XVII secolo. Il suo sepolcro, però, fu oggetto, nei secoli passati, di grande venerazione e la sua tomba fu meta di pellegrinaggi, come dimostrano le oltre quattrocento monete rinvenute al tempo dell'apertura dell'arca, per la ricognizione delle reliquie. Tali monete, che vanno dal sec. XIV al XVI, provengono delle zecche di varie città d'Italia (Arezzo, Bologna, Chieti, Firenze, Lucca, Macerata, Napoli, Pisa, Ravenna, Roma), alcune addirittura ungheresi, e altre che hanno impressi stemmi papali. E considerando che sono documentati numerosi pellegrinaggi di abitanti delle nostre zone verso Roma, specialmente in occasione dei giubilei, non solo nella capitale, ma in molti santuari italiani, non è da escludere l'ipotesi che ciò abbia contribuito a far conoscere il culto di Sant'Amico da Rambona.
Una certezza è che doveva essere molto sentito, nella nostra provincia, il problema della protezione dalle belve feroci, le quali imperversavano, a quei tempi, su tutto il territorio: a poca distanza dalla Madonna dei Broi, nella chiesa di San Vigilio a Col San Martino, per esempio, vi è un affresco raffigurante il S. Bovo di Voghera (ma in realtà di origine provenzale), considerato protettore del bestiame. E che i lupi, soprattutto, fossero davvero presenti in gran numero in queste zone, lo si comprende da documenti del XIII e XIV secolo, che attestano di come Treviso avesse imposto l'obbligo, per i villaggi che contassero almeno “15 fuochi”, di dotarsi di "loviere", trappole per lupi (lovi), le cui pelli, vendute al comune di Treviso, valevano venti soldi l'una.
Ovviamente, non essendoci, ad oggi ,pervenute prove documentarie sull'identità del misterioso santo col lupo, e rimanendo esso un unicum iconografico, si possono solo formulare per ora delle ipotesi, che però, si tratti di San Francesco o di Sant'Amico, rimangono comunque affascinanti.