riporto qui in versione aggiornata, rispetto a quanto scritto in questo blog lo scorso anno, l'articolo sul misterioso affresco di Farra di Soligo e pubblicato sul numero de L'Azione del 2 luglio 2017.
IL SANTO E IL LUPO
Un'ipotesi
di interpretazione dell'affresco dell Madonna dei Broi di Farra di
Soligo.
di
Cinzia Tardivel
I
restauri della chiesetta della Madonna
dei Broi
a Farra di Soligo (TV), ultimati nel 2014, hanno riportato alla luce
degli affreschi straordinari, databili all'inizio del quattordicesimo
secolo. Sicuramente quella che maggiormente ha attirato l'attenzione,
per la sua particolarità, è l'immagine di un santo che
tiene in mano una corda (un guinzaglio?) e accanto a lui un lupo che
sembra essere stato appena ammansito.
La
presenza del lupo ha fatto subito pensare al più celebre
racconto agiografico in cui compare questo tipo di animale: ovvero
l'episodio che vede protagonista S.
Francesco d'Assisi,
che ammansisce il lupo di Gubbio.
Tale
leggenda però non fa riferimento all'uso di corde o guinzagli,
bensì al fatto che l'animale avrebbe posto la sua zampa sulla
mano del santo, così come viene rappresentato nell'affresco
della chiesa di S.Francesco a Pienza (opera dei senesi Cristoforo di
Bindoccio e Meo di Pero, della seconda metà del Trecento). Il
racconto del lupo di Gubbio, è
narrato negli “Actus
beati Francisci et sociorum eius”,
tra il 1327 e il 1340 ( di cui i celebri “Fioretti”
sono una successiva traduzione in lingua volgare).
Ma
ciò che suscita più dubbi, sull'interpretazione
francescana dell'affresco di Farra, è l'abbigliamento del
santo, la cui iconografia ha, fin dagli albori del suo culto,
caratteri comuni e precisi nelle sue rappresentazioni: in primis il
tipico saio, che più di tutto caratterizza il Poverello di
Assisi. Invece, in Santa Maria dei Broi, il santo indossa una tunica
rosata, una sopratunica azzurra e un copricapo a cupola anch'esso
azzurro: un abbigliamento che sembrerebbe essere più vicino a
quello di un abate benedettino, a mio avviso.
Un
altro particolare importante, che rende difficile un'identificazione
del santo di Farra con S. Francesco, è dato l'aspetto stesso
della figura rappresentata: un uomo con il viso rugoso (lo si nota
anche se vi 'è una lacuna pittorica su gran parte del volto) e
i capelli grigio/bianchi, diversa da quella di un San Francesco, al
quale dovrebbe corrispondere l'immagine di un uomo ben più
giovane.
Non
essendoci, ad oggi, una testimonianza documentaria che ci aiuti a
svelare l'enigma sull'identità del personaggio e sull'episodio
rappresentato nell'affresco della Madonna dei Broi, si possono
avanzare ipotesi solo tramite un confronto iconografico e, sulla base
di questo, ritengo che una figura che si avvicina molto a quella di
Farra di Soligo, sia quella di di S.Amico
di Rambona.
Nato
a Monte Milone (oggi Pollenza, in provincia di Macerata) prima
dell'anno mille, e figlio del signore del castello, Amico viene
chiamato così in onore di un condottiero di Carlo Magno,
venerato come martire a Mortara. Amico entrerà nell'ordine
benedettino presso il convento di Rambona, fondato alla fine del
secolo IX, dall'imperatrice Ageltrude di Benevento, sulle rovine di
un tempio pagano dedicato alla Dea Bona. Divenuto abate del convento,
Amico è ricordato per la sua dedizione profonda al lavoro
(infatti viene a volte rappresentato con attrezzi agricoli), alla
preghiera e alla carità, e gli vengono attribuite anche doti
di intercessione per i malati di ernia. Ma la tradizione parla anche
del miracolo attribuito all'abate marchigiano, ovvero l'aver
ammansito un lupo: la bestia avrebbe infatti sbranato l'asinello, con
cui il santo stava trasportando della legna, e Amico avrebbe così
convinto l'animale feroce a trasportare lui stesso il legname fino al
convento. Un racconto, quindi, molto simile, ma precedente, a quello
del santo di Assisi.
La
figura dell'abate di Rambona, viene spesso confusa con quella del suo
omonimo, S.Amico
di Avellana:
anche quest'ultimo monaco benedettino, a cui è stato
ugualmente attribuito l'episodio dell'ammansimento del lupo e del
successivo trasporto della legna, proprio a causa di questa
sovrapposizione delle figure dei due santi omonimi.
Notizie
su Sant'Amico di Rambona ci sono pervenute anche tramite il "Liber
Gratissimus"
di S. Pier Damiani, del 1052.
S.Amico
è praticamente sconosciuto
nelle nostre zone, ma il suo culto è molto diffuso non solo
nelle Marche, ma anche in Umbria, in Abruzzo e in Lazio, ed è
invocato, proprio per via della leggenda che lo riguarda, anche per
la protezione del bestiame contro l'attacco dei lupi. Ci sono quindi
moltissime rappresentazioni pittoriche, specialmente nelle piccole
chiese di campagna, che vedono Amico assieme al lupo, tenuto al
guinzaglio.
Ovviamente
il santo col lupo è rappresentato, in quel che resta di
originale della chiesa ( parte del presbiterio e la cripta)
dell'abbazia di Rambona (dove sono anche conservate e venerate le
spoglie di Amico). Qui il santo è presente in due affreschi
distinti: il primo si trova nel presbiterio, e vede Amico con
un'ascia sulla spalla, per tagliare la legna, e con al guinzaglio un
lupo di piccole dimensioni, mentre il secondo, dipinto nel XVI
secolo, si trova nella cripta, e rappresenta invece il santo con il
lupo e la consueta corda nella mano (come nell'affresco di Farra, non
è chiaro se stia liberando l'animale o debba ancora legarlo al
'guinzaglio').
Nella
chiesa di S. Silvestro a Tivoli vi è un affresco, del 1380
circa, che rappresenta il santo marchigiano che tiene al guinzaglio
un lupo, sottodimensionato come anche in altre raffigurazioni, e in
abiti cistercensi (particolare anacronistico, poiché l'abbazia
di Rambona diverrà cistercense solo dopo la morte di Amico, ma
che è divenuto una costante in tutte le sue rappresentazioni).
In questo affresco il santo marchigiano indossa anche un copricapo,
come il santo di Farra, seppur di forma un po' diversa.
Un'altra
raffigurazione del santo (a volte rappresentato più giovane, a
volte più anziano), si trova nel Santuario dell'Icona
Passatora ad Amatrice, raffigurato in un affresco del 1494 (santuario
in cui, tra l'altro, è presente anche un Cristo della
Domenica, iconografia rara, di cui l'esemplare più
significativo è a San Pietro di Feletto, a pochi chilometri da
Farra di Soligo).
Ancora
troviamo S.Amico a Santa Maria Infraportas a Foligno e, sempre nel
folignate, nel Santuario della Madonna delle Grazie di Rasiglia, dove
S.Amico è curiosamente rappresentato “sdoppiato” ai lati
della Vergine col Bambino.
S.Amico
è presente anche nella Pieve di Sietina, nel casentino
(affresco datato 1495), di cui purtroppo resta solo un frammento, ma
assai significativo.
A
onor di cronaca ci sarebbe da segnalare almeno un altro santo, sempre
marchigiano, legato ad una leggenda di ammansimento di un lupo:
ovvero il Beato Ugo, monaco Silvestrino, proclamato santo solo nel
1750, ma venerato fin dal XIII secolo dagli abitanti di Montegranaro,
in provincia di Fermo, dove pare il monaco risiedette: in quella
località, vi è anche il cosiddetto criptoportico di
S.Ugo: (l'edificio, facente parte del complesso di un monastero
risalente al IX secolo, era inizialmente intitolato ai S.S Filippo e
Giacomo, e solo successivamente fu dedicato al santo monaco, venendo
inglobato in una chiesa più grande e diventandone una sorta di
cripta). L'episodio però, che narra di come egli avesse
ammansito un lupo che terrorizzava Montegranaro, è più
simile a quello che vede protagonista S. Francesco, in cui il santo
fa amicizia con la bestia, che porge la sua zampa. Ciò
dimostra però come il Poverello d'Assisi non sia l'unico a cui
sia associato un miracolo legato ad un lupo, e quanto questi animali
fossero temuti, non solo per via del bestiame, ma anche perché
visti, nel mondo medievale, quasi come una incarnazione del male, al
quale solo uomini veramente pii potevano opporsi.
Se
il santo rappresentato a Farra fosse Sant'Amico, ci sarebbe però
da chiedersi come sia giunto fino al trevigiano, il culto di un santo
conosciuto soprattutto nel centro Italia: egli fu oltretutto
considerato santo fin dalla sua morte, per devozione popolare, ma fu
ufficialmente canonizzato da Urbano VIII solo nel XVII secolo. Il suo
sepolcro, però, fu oggetto, nei secoli passati, di grande
venerazione e la sua tomba fu meta di pellegrinaggi, come dimostrano
le oltre quattrocento monete rinvenute al tempo dell'apertura
dell'arca, per la ricognizione delle reliquie. Tali monete, che vanno
dal sec. XIV al XVI, provengono delle zecche di varie città
d'Italia (Arezzo, Bologna, Chieti, Firenze, Lucca, Macerata, Napoli,
Pisa, Ravenna, Roma), alcune addirittura ungheresi, e altre che hanno
impressi stemmi papali. E considerando che sono documentati numerosi
pellegrinaggi di abitanti delle nostre zone verso Roma, specialmente
in occasione dei giubilei, non solo nella capitale, ma in molti
santuari italiani, non è da escludere l'ipotesi che ciò
abbia contribuito a far conoscere il culto di Sant'Amico da Rambona.
Una
certezza è che doveva essere molto sentito, nella nostra
provincia, il problema della protezione dalle belve feroci, le quali
imperversavano, a quei tempi, su tutto il territorio: a poca distanza
dalla Madonna dei Broi, nella chiesa di San Vigilio a Col San
Martino, per esempio, vi è un affresco raffigurante il S. Bovo
di Voghera (ma in realtà di origine provenzale), considerato
protettore del bestiame. E che i lupi, soprattutto, fossero davvero
presenti in gran numero in queste zone, lo si comprende da documenti
del XIII e XIV secolo, che attestano di come Treviso avesse imposto
l'obbligo, per i villaggi che contassero almeno “15 fuochi”, di
dotarsi di "loviere",
trappole per lupi (lovi), le cui pelli, vendute al comune di Treviso,
valevano venti soldi l'una.
Ovviamente,
non essendoci, ad oggi ,pervenute prove documentarie sull'identità
del misterioso santo col lupo, e rimanendo esso un unicum
iconografico, si possono solo formulare per ora delle ipotesi, che
però, si tratti di San Francesco o di Sant'Amico, rimangono
comunque affascinanti.