mercoledì 28 giugno 2023

 

29 Giugno 1873- 29 Giugno 2023: 
150 anni fa il terremoto che colpì l'Antica Pieve di San Pietro di Feletto







Sono trascorsi esattamente 150 anni, da quel fatidico giorno del 29 Giugno 1873, in cui l’antica Pieve di San Pietro di Feletto fu colpita da una terribile scossa di terremoto, che uccise 38 persone e che rischiò di porre fine per sempre alla sua millenaria storia. Mancava qualche minuto allo scoccare delle cinque del mattino: i fedeli erano già riuniti in chiesa per la liturgia in onore del Santo Patrono, che si celebrava nell’antico luogo di culto, nonostante già da qualche decennio la sede parrocchiale principale fosse stata spostata a Rua: segno del declino di quella millenaria chiesa madre, per secoli l’unica dotata di fonte battesimale e centro religioso di un ampio territorio, che comprendeva non solo il Feletto, ma anche le vicine località di Formeniga, Refrontolo e Collalbrigo. Tale decadenza si doveva riflettere anche nelle condizioni dell’edificio stesso, descritto in quegli anni come già in condizioni di deperimento strutturale: questo potrebbe spiegare perché la scossa tellurica provocò danni così gravi, rispetto al resto dell’abitato, come rilevò Alexander Bittner, dell’Istituto Geologico imperiale di Vienna, giunto sui nostri territori per redarre una relazione sui danni del terremoto. La scossa interessò il bellunese (dopo quella del 29 Giugno, un’ulteriore scossa del 6 luglio provocò il definitivo crollo del già danneggiato Duomo di Belluno), e in particolare il territorio dell’Alpago. Come detto, a San Pietro quel giorno perirono 38 fedeli, dei150 della congregazione presente quel mattino in chiesa (come riportato anche da un articolo dell’Illustrated London News, datato 19 Luglio 1873), e tra i feriti vi fu lo stesso cappellano Don Gaetano Canale, che ebbe un braccio fratturato e una ferita all’occhio. Sul muro esterno della sacrestia e su uno dei pilastri del porticato, sono ancora presenti due lapidi che ricordano due delle vittime del sisma. La scossa ebbe una durata di 15 secondi e provocò il crollo del tetto della navata centrale e della navata destra, di cui venne distrutta anche l’absidiola e parte del muro a destra della navata centrale. Il terremoto segnò il definitivo declino dell’antico edificio, nonostante gli interventi di riparazione, che in parte modificarono la struttura (come l’abside destra che fu ricostruita in forma poligonale anziché semircolare), e gli affreschi superstiti erano ben poco leggibili, quindi l’aspetto del complesso appariva assai spoglio e triste, tanto che per molto tempo l’antica Pieve fu considerata “La chiesa dei morti”. Fu solo dal 1935 che iniziò la lenta progressiva rinascita del millenario luogo di culto, che tornò ad avere una sua autonomia e di nuovo centro di una sua comunità di fedeli. Ma fu a partire dal 1952 che l’antica Pieve di San Pietro iniziò il suo percorso per essere restituita ai fasti del passato: venne infatti avviata una radicale opera di restauro (che continuerà poi negli anni ‘60, ‘90 e primi anni 2000): vennero abbattute le due cappelle laterali di epoca barocca, ma soprattutto vennero riportati alla luce gli affreschi rimasti nascosti o appena visibili. Particolarmente esemplare fu l’operazione di strappo (tecnica che permette di spostare un sottile strato riguardante la sola pellicola pittorica, conservando strati sottostanti) del ciclo quattrocentesco del Credo, che dalla parete sinistra della navata centrale, fu trasportata in quella destra, ricostruita dopo il terremoto, consentendo di riscoprire affreschi più antichi, che altrimenti sarebbero rimasti nascosti. Oggi l’Antica Pieve di San Pietro di Feletto è tornata a mostrare le sue bellezze e ha acquisito il titolo di chiesa monumentale; è tornata ad essere il cuore pulsante della comunità e luogo di grande interesse culturale e turistico, nell’ambito delle Colline del Prosecco, Patrimonio Unesco.


Di Cinzia Tardivel. per Associazione Amici dell'Antica Pieve.

Fonti bibliografiche:
N. FALDON, La millenaria Pieve di San Pietro di Feletto, nel contesto storico di Conegliano, a.c .
N.Lucchetta, Godega S. Urbano, 2005.
A. SOLIGON, San Sebastiano, nella pieve di San Pietro di Feletto, Vittorio Veneto, 2013.
M. ALFIERI, F. NART, M. PIAT, 29 Giugno 1873. Quindi seguì una scossa e un tremolio…,
Vittorio Veneto, 2019


lunedì 10 luglio 2017

IL SANTO E IL LUPO (2)

riporto qui in versione aggiornata, rispetto a quanto scritto in questo blog lo scorso anno, l'articolo sul misterioso affresco di Farra di Soligo e pubblicato sul numero de L'Azione del 2 luglio 2017.




IL SANTO E IL LUPO
Un'ipotesi di interpretazione dell'affresco dell Madonna dei Broi di Farra di Soligo.
di Cinzia Tardivel




I restauri della chiesetta della Madonna dei Broi a Farra di Soligo (TV), ultimati nel 2014, hanno riportato alla luce degli affreschi straordinari, databili all'inizio del quattordicesimo secolo. Sicuramente quella che maggiormente ha attirato l'attenzione, per la sua particolarità, è l'immagine di un santo che tiene in mano una corda (un guinzaglio?) e accanto a lui un lupo che sembra essere stato appena ammansito.
La presenza del lupo ha fatto subito pensare al più celebre racconto agiografico in cui compare questo tipo di animale: ovvero l'episodio che vede protagonista S. Francesco d'Assisi, che ammansisce il lupo di Gubbio.
Tale leggenda però non fa riferimento all'uso di corde o guinzagli, bensì al fatto che l'animale avrebbe posto la sua zampa sulla mano del santo, così come viene rappresentato nell'affresco della chiesa di S.Francesco a Pienza (opera dei senesi Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, della seconda metà del Trecento). Il racconto del lupo di Gubbio, è narrato negli “Actus beati Francisci et sociorum eius”, tra il 1327 e il 1340 ( di cui i celebri “Fioretti” sono una successiva traduzione in lingua volgare).
Ma ciò che suscita più dubbi, sull'interpretazione francescana dell'affresco di Farra, è l'abbigliamento del santo, la cui iconografia ha, fin dagli albori del suo culto, caratteri comuni e precisi nelle sue rappresentazioni: in primis il tipico saio, che più di tutto caratterizza il Poverello di Assisi. Invece, in Santa Maria dei Broi, il santo indossa una tunica rosata, una sopratunica azzurra e un copricapo a cupola anch'esso azzurro: un abbigliamento che sembrerebbe essere più vicino a quello di un abate benedettino, a mio avviso.
Un altro particolare importante, che rende difficile un'identificazione del santo di Farra con S. Francesco, è dato l'aspetto stesso della figura rappresentata: un uomo con il viso rugoso (lo si nota anche se vi 'è una lacuna pittorica su gran parte del volto) e i capelli grigio/bianchi, diversa da quella di un San Francesco, al quale dovrebbe corrispondere l'immagine di un uomo ben più giovane.
Non essendoci, ad oggi, una testimonianza documentaria che ci aiuti a svelare l'enigma sull'identità del personaggio e sull'episodio rappresentato nell'affresco della Madonna dei Broi, si possono avanzare ipotesi solo tramite un confronto iconografico e, sulla base di questo, ritengo che una figura che si avvicina molto a quella di Farra di Soligo, sia quella di di S.Amico di Rambona.
Nato a Monte Milone (oggi Pollenza, in provincia di Macerata) prima dell'anno mille, e figlio del signore del castello, Amico viene chiamato così in onore di un condottiero di Carlo Magno, venerato come martire a Mortara. Amico entrerà nell'ordine benedettino presso il convento di Rambona, fondato alla fine del secolo IX, dall'imperatrice Ageltrude di Benevento, sulle rovine di un tempio pagano dedicato alla Dea Bona. Divenuto abate del convento, Amico è ricordato per la sua dedizione profonda al lavoro (infatti viene a volte rappresentato con attrezzi agricoli), alla preghiera e alla carità, e gli vengono attribuite anche doti di intercessione per i malati di ernia. Ma la tradizione parla anche del miracolo attribuito all'abate marchigiano, ovvero l'aver ammansito un lupo: la bestia avrebbe infatti sbranato l'asinello, con cui il santo stava trasportando della legna, e Amico avrebbe così convinto l'animale feroce a trasportare lui stesso il legname fino al convento. Un racconto, quindi, molto simile, ma precedente, a quello del santo di Assisi.
La figura dell'abate di Rambona, viene spesso confusa con quella del suo omonimo, S.Amico di Avellana: anche quest'ultimo monaco benedettino, a cui è stato ugualmente attribuito l'episodio dell'ammansimento del lupo e del successivo trasporto della legna, proprio a causa di questa sovrapposizione delle figure dei due santi omonimi.
Notizie su Sant'Amico di Rambona ci sono pervenute anche tramite il "Liber Gratissimus" di S. Pier Damiani, del 1052.
S.Amico è praticamente sconosciuto nelle nostre zone, ma il suo culto è molto diffuso non solo nelle Marche, ma anche in Umbria, in Abruzzo e in Lazio, ed è invocato, proprio per via della leggenda che lo riguarda, anche per la protezione del bestiame contro l'attacco dei lupi. Ci sono quindi moltissime rappresentazioni pittoriche, specialmente nelle piccole chiese di campagna, che vedono Amico assieme al lupo, tenuto al guinzaglio.
Ovviamente il santo col lupo è rappresentato, in quel che resta di originale della chiesa ( parte del presbiterio e la cripta) dell'abbazia di Rambona (dove sono anche conservate e venerate le spoglie di Amico). Qui il santo è presente in due affreschi distinti: il primo si trova nel presbiterio, e vede Amico con un'ascia sulla spalla, per tagliare la legna, e con al guinzaglio un lupo di piccole dimensioni, mentre il secondo, dipinto nel XVI secolo, si trova nella cripta, e rappresenta invece il santo con il lupo e la consueta corda nella mano (come nell'affresco di Farra, non è chiaro se stia liberando l'animale o debba ancora legarlo al 'guinzaglio').
Nella chiesa di S. Silvestro a Tivoli vi è un affresco, del 1380 circa, che rappresenta il santo marchigiano che tiene al guinzaglio un lupo, sottodimensionato come anche in altre raffigurazioni, e in abiti cistercensi (particolare anacronistico, poiché l'abbazia di Rambona diverrà cistercense solo dopo la morte di Amico, ma che è divenuto una costante in tutte le sue rappresentazioni). In questo affresco il santo marchigiano indossa anche un copricapo, come il santo di Farra, seppur di forma un po' diversa.
Un'altra raffigurazione del santo (a volte rappresentato più giovane, a volte più anziano), si trova nel Santuario dell'Icona Passatora ad Amatrice, raffigurato in un affresco del 1494 (santuario in cui, tra l'altro, è presente anche un Cristo della Domenica, iconografia rara, di cui l'esemplare più significativo è a San Pietro di Feletto, a pochi chilometri da Farra di Soligo).
Ancora troviamo S.Amico a Santa Maria Infraportas a Foligno e, sempre nel folignate, nel Santuario della Madonna delle Grazie di Rasiglia, dove S.Amico è curiosamente rappresentato “sdoppiato” ai lati della Vergine col Bambino.
S.Amico è presente anche nella Pieve di Sietina, nel casentino (affresco datato 1495), di cui purtroppo resta solo un frammento, ma assai significativo.
A onor di cronaca ci sarebbe da segnalare almeno un altro santo, sempre marchigiano, legato ad una leggenda di ammansimento di un lupo: ovvero il Beato Ugo, monaco Silvestrino, proclamato santo solo nel 1750, ma venerato fin dal XIII secolo dagli abitanti di Montegranaro, in provincia di Fermo, dove pare il monaco risiedette: in quella località, vi è anche il cosiddetto criptoportico di S.Ugo: (l'edificio, facente parte del complesso di un monastero risalente al IX secolo, era inizialmente intitolato ai S.S Filippo e Giacomo, e solo successivamente fu dedicato al santo monaco, venendo inglobato in una chiesa più grande e diventandone una sorta di cripta). L'episodio però, che narra di come egli avesse ammansito un lupo che terrorizzava Montegranaro, è più simile a quello che vede protagonista S. Francesco, in cui il santo fa amicizia con la bestia, che porge la sua zampa. Ciò dimostra però come il Poverello d'Assisi non sia l'unico a cui sia associato un miracolo legato ad un lupo, e quanto questi animali fossero temuti, non solo per via del bestiame, ma anche perché visti, nel mondo medievale, quasi come una incarnazione del male, al quale solo uomini veramente pii potevano opporsi.
Se il santo rappresentato a Farra fosse Sant'Amico, ci sarebbe però da chiedersi come sia giunto fino al trevigiano, il culto di un santo conosciuto soprattutto nel centro Italia: egli fu oltretutto considerato santo fin dalla sua morte, per devozione popolare, ma fu ufficialmente canonizzato da Urbano VIII solo nel XVII secolo. Il suo sepolcro, però, fu oggetto, nei secoli passati, di grande venerazione e la sua tomba fu meta di pellegrinaggi, come dimostrano le oltre quattrocento monete rinvenute al tempo dell'apertura dell'arca, per la ricognizione delle reliquie. Tali monete, che vanno dal sec. XIV al XVI, provengono delle zecche di varie città d'Italia (Arezzo, Bologna, Chieti, Firenze, Lucca, Macerata, Napoli, Pisa, Ravenna, Roma), alcune addirittura ungheresi, e altre che hanno impressi stemmi papali. E considerando che sono documentati numerosi pellegrinaggi di abitanti delle nostre zone verso Roma, specialmente in occasione dei giubilei, non solo nella capitale, ma in molti santuari italiani, non è da escludere l'ipotesi che ciò abbia contribuito a far conoscere il culto di Sant'Amico da Rambona.
Una certezza è che doveva essere molto sentito, nella nostra provincia, il problema della protezione dalle belve feroci, le quali imperversavano, a quei tempi, su tutto il territorio: a poca distanza dalla Madonna dei Broi, nella chiesa di San Vigilio a Col San Martino, per esempio, vi è un affresco raffigurante il S. Bovo di Voghera (ma in realtà di origine provenzale), considerato protettore del bestiame. E che i lupi, soprattutto, fossero davvero presenti in gran numero in queste zone, lo si comprende da documenti del XIII e XIV secolo, che attestano di come Treviso avesse imposto l'obbligo, per i villaggi che contassero almeno “15 fuochi”, di dotarsi di "loviere", trappole per lupi (lovi), le cui pelli, vendute al comune di Treviso, valevano venti soldi l'una.
Ovviamente, non essendoci, ad oggi ,pervenute prove documentarie sull'identità del misterioso santo col lupo, e rimanendo esso un unicum iconografico, si possono solo formulare per ora delle ipotesi, che però, si tratti di San Francesco o di Sant'Amico, rimangono comunque affascinanti.



lunedì 6 giugno 2016

IL SANTO E IL LUPO

IL SANTO E IL LUPO 
Un'ipotesi di interpretazione dell'affresco della Madonna dei Broi di Farra di Soligo. 
 di Cinzia Tardivel 

I restauri della chiesetta della Madonna dei Broi a Farra di Soligo (TV), hanno riportato alla luce degli affreschi straordinari, databili tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo. Sicuramente quello che maggiormente ha attirato l'attenzione, per la sua particolarità, è l'immagine di un santo che tiene in mano una corda (un guinzaglio?) e accanto a lui un lupo che sembra essere stato appena ammansito.



La presenza del lupo ha fatto subito pensare al racconto agiografico più celebre, che vede coinvolto questo tipo di animale: ovvero l'episodio che vede protagonista S. Francesco d'Assisi, il quale incontra e ammansisce il lupo di Gubbio. La leggenda però non fa riferimento all'uso di corde o guinzagli, bensì al fatto che l'animale avrebbe posto la sua zampa sulla mano del santo, così come viene rappresentato nell'affresco della chiesa di S.Francesco a Pienza (opera dei senesi Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, della seconda metà del Trecento).
Inoltre quello che suscita più dubbi, sull'interpretazione francescana dell'affresco di Farra, è l'abbigliamento del presunto poverello di Assisi, la cui iconografia solitamente ha caratteri comuni in tutte le sue rappresentazioni, in primis il saio. Mentre, in Santa Maria dei Broi, il santo indossa una tunica rosata, una sopratunica azzurra e un copricapo a cupola anch'esso azzurro (anche se è possibile che i colori oggi visibili siano alterati). Un'altra caratteristica di San Francesco sono le stimmate sulle mani: osservando da vicino le mani del santo si notano effettivamente delle macchie rossastre, ma è difficilmente interpretabili come dei fori.

Un altro particolare importante è l'aspetto stesso della figura rappresentata, che sembra essere quella di un uomo con il viso rugoso (lo si nota anche se vi 'è una lacuna pittorica su gran parte del volto) e i capelli grigio/bianchi, mentre San Francesco dovrebbe essere un uomo ben più giovane.





A mio avviso si può avanzare un'altra ipotesi sull'identità del personaggio e dell'episodio rappresentato nell'affresco della Madonna dei Broi, ovvero che si tratti in realtà di S.Amico di Rambona. Nato a Monte Milone (Pollenza, in provincia di Macerata) prima dell'anno mille, e figlio del signore del castello, Amico viene chiamato così in onore di un condottiero di Carlo Magno, venerato come martire a Mortara. Amico entrerà poi nell'ordine benedettino presso il convento di Rambona, fondato alla fine del secolo IX, dall'Imperatrice Ageltrude di Benevento, sulle rovine di un tempio pagano dedicato alla Dea Bona. Divenuto abate del convento, Amico è ricordato per la sua dedizione profonda al lavoro (infatti viene a volte rappresentato con attrezzi agricoli), alla preghiera e alla carità e gli vengono attribuite anche doti di intercessione per i malati di ernia. La sua figura viene confusa e spesso sovrapposta a quella del suo omonimo, S.Amico di Avellana. Notizie su Sant'Amico ci sono pervenute tramite "Liber Gratissimus" di S. Pier Damiano, del 1052. La tradizione parla del miracolo attribuito all'abate marchigiano, ovvero l'aver ammansito un lupo che gli aveva sbranato l'asinello, con cui stava trasportando della legna, e di aver convinto poi l'animale feroce a trasportare lui stesso il legname fino al convento. Un racconto, quindi, molto simile, ma precedente, a quello del santo di Assisi. Ci sono delle rappresentazioni pittoriche che vedono Amico proprio assieme al lupo, tenuto al guinzaglio. Vediamone alcune.
Chiesa di S.Silvestro a Tivoli (figura centrale), affresco del 1380 circa:

Da notare che il santo indossa un copricapo. Inoltre, qui come nelle altre raffigurazioni, Amico indossa abiti cistercensi, perché Rambona diverrà appunto cistercense,anche se solo dopo la morte del santo.













Santuario dell'Icona Passatora ad Amatrice, affresco datato 1494:
 (Il santuario di Amatrice contiene, oltretutto, un Cristo della Domenica, di cui l'esemplare più significativo è a San Pietro di Feletto, a pochi chilometri da Farra di Soligo).














Particolare di un affresco, con il lupo che porta la legna, presso la chiesa di S.Maria Infraportas, a Foligno













Pieve di Sietina (nel casentino), affresco datato 1495: 

 Santuario della Madonna delle Grazie di Rasiglia (vicino Foligno): 












Affresco del XVI secolo che decora la cripta medievale, nonché luogo di sepoltura del santo (quel che resta di originale oggi, insieme a parte del presbiterio della chiesa, dell'abbazia di Rambona): 
















Confrontando tutte questi affreschi con quelli di Farra di Soligo, direi che le coincidenze sono molte: il lupo e il guinzaglio, e l'abbigliamento della figura del santo, che nell'affresco della Madonna dei Broi, è più simile a quello dell'abate marchigiano (ipotizzando, come detto all'inizio, che ci sia stata anche una alterazione dei colori originali). Se questa ipotesi fosse vera, sarebbe da chiedersi come sia giunto fino al trevigiano, il culto di un santo conosciuto soprattutto nel centro Italia (considerato oltretutto santo per devozione popolare, ma ufficialmente canonizzato da Urbano VIII nel '600), anche se c'è da considerare che sono documentati molti pellegrinaggi di abitanti di queste zone verso Roma, specialmente in occasione dei giubilei, non solo nella capitale, ma in molti santuari italiani, durante in quali possono essere venuti a conoscenza del culto di Sant'Amico da Rambona.

 5 Giugno 2016.